
Mohammad Hannoun e gli altri 8 palestinesi arrestati – mentre l’inchiesta pare allargarsi – sono accusati di aver violato l’articolo 270 bis perché avrebbero utilizzato fondi umanitari per finanziare “il terrorismo internazionale”.
Dobbiamo però andare a leggere l’articolo 270 sexies del codice penale per avere la definizione di terrorismo secondo il nostro ordinamento: “sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.”
Una definizione “larga” che, a pensarci bene, potrebbe essere applicata anche ad uno sciopero generale e che proprio per questo si adatta all’arbitrarietà del potere.
Infatti è quello che fa quotidianamente lo Stato d’Israele da decenni, ma i soldati israeliani scorrazzano per l’Italia scortati dalla DIGOS per rilassare i nervi dopo mesi di massacri, Netanyahu può tranquillamente sorvolare lo spazio aereo italiano mentre i palestinesi finiscono in carcere, in Italia come nei territori occupati in Palestina.
Questi arresti corrispondono ad un teorema: la Resistenza è terrorismo, tutti i fondi di solidarietà donati per scuole, ospedali o attività sociali a Gaza sono controllati dalla Resistenza, quindi chi invia fondi in Palestina è complice del terrorismo.
Evidentemente aveva ragione Tajani: “diritto, ma fino ad un certo punto”…
Come nel caso del processo Anan, Alì e Mansour che andranno a sentenza il 16 Gennaio, anche in questo caso l’inchiesta è stata commissionata sulla base dei dossier prodotti da Israele.
La subalternità dello Stato italiano si riconferma nei confronti di Israele come del resto avviene rispetto a USA e NATO sulla spesa militare: queste sono le relazioni nella scala gerarchica dell’imperialismo occidentale in base alle quali l’Italia continua a garantire i propri interessi facendone pagare le conseguenze a lavoratori e lavoratrici tra austerità e repressione.
Per questo la lotta contro la repressione è parte dello scontro di classe al pari di quello contro la guerra e lo sfruttamento sul lavoro.
La repressione non è mai una questione soggettiva che riguarda “l’imputato” – perché anche questo ci tocca sentire – ma un terreno su cui prendere sempre posizione per sostenere chi viene colpito, restituire pubblicamente la legittimità della lotta, alimentare la solidarietà come argine prioritario alla divisione e alla disarticolazione che la repressione vuole produrre.
Questo vale tanto per le inchieste da “sbatti il mostro in prima pagina” attraverso cui viene attaccato un movimento composito che coinvolge centinaia di migliaia di persone, quanto per le denunce che stanno raggiungendo anche a Firenze i compagni e le compagne più giovani perché si allontanino dalle lotte e rinuncino al protagonismo mostrato nell’autunno.
Questi sono momenti in cui lavorare perché cresca la consapevolezza rispetto a cosa sia la repressione, da non trattare mai come un incidente di percorso che deriva dal calo della mobilitazione: questa è una sottovalutazione che non possiamo permetterci.
Sappiamo che stare seduti dalla parte del torto è sempre più scomodo e difficile, che corrisponde ad un prezzo da pagare, ma sappiamo anche che il tribunale della storia è un’altra cosa e alla fine ad uscirne condannati saranno gli agenti della guerra e del genocidio!
Quindi partecipare, esserci, confrontarsi e tenersi pronti per scendere in piazza segnando sul calendario le prossime iniziative che a breve verranno fissate!

