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Solidarietà agli operai ex-ILVA in lotta

(Mentre pubblichiamo questo testo, relativo a quanto ci aveva restituito la giornata di ieri a Genova, nel frattempo la mobilitazione si è allargata alla città di Taranto)

Alla rottura del tavolo sulla ex-ILVA, Fiom, Fim e Uilm hanno risposto con lo sciopero di 24h del settore siderurgico.
Gli operai di Genova hanno quindi occupato lo stabilimento di Cornigliano uscendo in corteo con i mezzi dello stabilimento e praticando blocchi che hanno paralizzato l’intera città.
Il rischio è quello della cassa integrazione dopo la quale si prospetta il licenziamento di centinaia di operai.

In teoria la cassa integrazione dovrebbe ammortizzare una fase di crisi affinché si creino le condizioni perché questa venga superata: non a caso la firma della cassa integrazione si accompagna ad un piano industriale di rilancio.
Nella pratica si rivela però essere la foglia di fico dietro a cui nascondere piani di dismissione e licenziamento.

La situazione ex-ILVA è ancora più complicata perché segnata dal ricatto salute-lavoro che mette in contraddizione la necessità di portare a casa lo stipendio con l’inquinamento prodotto dalle acciaierie.
Un fatto che restituisce lo scontro tra il territorio e la fabbrica che lo avvelena, ma che materialmente produce lo scontro tra il corpo operaio che difende il proprio stipendio e la popolazione dei quartieri limitrofi allo stabilimento preoccupata per la propria salute. Uno scontro che è anche “intimo” e soggettivo visto che i lavoratori sono i primi a subire l’attacco alla salute sul posto di lavoro e spesso sono gli stessi operai ad abitare i quartieri vicini allo stabilimento.

Nel caso della ex-ILVA il problema sta nel fatto che la cassa integrazione dovrebbe accompagnarsi ad una ristrutturazione per la produzione di acciaio decarbonizzato: quindi una produzione meno inquinante ma che vedrebbe una diminuzione dei volumi. Questo è il piano padronale di Federacciai con una cassa integrazione che si concluderebbe con una diminuzione del corpo operaio occupato.
Questo piano però si è scontrato con il taglio di quasi 300 milioni di fondi pubblici da parte del Governo per la decarbonizzazione dell’acciaio.
In poche parole Federacciai, tra cassa integrazione e fondi pubblici per la ristrutturazione, fa leva sul ricatto occupazionale per socializzare i costi e privatizzare i profitti.

In questa situazione gli operai non hanno certezze sul proprio futuro e le bonifiche dei territori rimangono ferme.
Se capiamo la complessità di questa situazione ci rendiamo anche conto che nella contingenza, nella specificità della vertenza, ogni posizione rischia di essere insufficiente e contraddittoria.
Il lavoro o la salute?
La fabbrica o il territorio?

Crediamo sia sempre più evidente che questo sistema è entrato in una fase distruttiva e, scaricando su di noi le sue contraddizioni, è capace di risolverle solo attraverso la miseria e le logiche di guerra.
La soluzione non è e non sarà a portata di mano comunque la si metta.
Le facili soluzioni infatti stanno solo nella propaganda dei mestieranti della politica.
Per questo non ci poniamo il problema di “dare” la soluzione, ma semmai di come individuarla collettivamente.

La soluzione non potrà allora che esser politica, partire dal rifiuto della contrapposizione tra lavoro e salute, dal rifiuto dell’imposizione di questo modo di lavorare e vivere e fino a una consapevolezza precisa: quando smetteremo di farci mettere in concorrenza tra noi allora riusciremo davvero a guardare in faccia i nostri veri nemici e combatterli insieme.
In ogni caso, gli operai ex-ILVA ci hanno fatto vedere come farlo.

Allora diciamo: al fianco degli operai in lotta, che occupano lo stabilimento, che bloccano strade e ferrovie, al fianco di chi lotta per la difesa dell’ambiente e della salute dal posto di lavoro al territorio tutto.
La contraddizione non è nostra e già mentre lo diciamo il problema inizia a diventare dei padroni e dei loro profitti.