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MORTI DI STATO IN EGITTO!

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Giulio Regeni è uno studente veneto, in Egitto per attività di ricerca e per svolgere un dottorato presso l’Università del Cairo. Giulio scrive sotto pseudonimo sul Manifesto, si interessa dei movimenti sociali, politici e sindacali che da anni scuotono l’Egitto; sì, la cosiddetta Primavera araba, tanto enfatizzata dai nostri media, che ha alla fine visto la tragica affermazione di un regime militare a tutti gli effetti, quello del generale Al Sisi, alla faccia delle libertà. Un regime con cui l’Unione Europea, ed in particolare l’Italia, nutrono grandi rapporti politici, militari ed economici.
Giulio scompare il 25 gennaio, mentre sta andando ad un compleanno di un amico. Il suo cellulare risulta muto ed introvabile. Una settimana dopo il ministro dello Sviluppo economico italiano, Federica Guidi, atterra al Cairo alla testa di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria. Incontra il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi per supportare i reciproci investimenti, che già ammontano ad oltre 4 miliardi di euro, e la firma di nuovi accordi commerciali tra Renzi ed Al Sisi. Niente dice di Giulio.
Negli stessi giorni arriva in Egitto, guarda un po’, il generale Alberto Manenti, direttore dell’Agenzia per la sicurezza esterna (Aise), per incontri con i vertici dei servizi segreti egiziani. Il viaggio, segreto ovviamente, di Manenti avviene al termine di una escalation di contatti tra Roma e il Cairo.
Il 4 febbraio il corpo di Giulio viene ritrovato dietro un muretto di un’autostrada, mezzo nudo e con orribili segni di tortura su tutto il corpo. Viene ritrovato a pochi metri dalla sede della Ssis, il Servizio investigativo per la sicurezza dello Stato, noto con il nome arabo di Amn al-Dawla. Tra il 4 e il 5 marzo del 2011, quando la “primavera araba” prometteva di spazzare via la dittatura e il clima plumbeo dei militari, la sede della Amn al-Dawla venne invasa dai manifestanti. Cambiò nome, diventando semplicemente Homeland Security. Ma i metodi – raccontano giornalisti e attivisti delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani – sono rimasti gli stessi. La stessa a cui la società milanese Hacking Team ha venduto il potente software di spionaggio Rcs in grado di sorvegliare ogni istante della vita informatica degli obiettivi. Subito si inizia con il balletto delle voci, era omosessuale!, è stato un incidente!, sono stati gli islamici!. Tutto tranne che la verità. Giulio è stato con tutta evidenza, prima intercettato per diverso tempo, almeno dal 21 gennaio, poi sequestrato, torturato ed ucciso dagli apparati statali egiziani, per quello che faceva, per quello che ascoltava, per quello che scriveva. E, purtroppo, non ci si può stupire. In Egitto solo da agosto ad oggi sono scomparse oltre 400 persone, mai ritrovate. Gli omicidi, gli arresti, la repressione brutale e le condanne a decine e decine di anni di carcere sono la quotidianità per attivisti politici e sociali e per i settori islamisti, anch’essi duramente repressi.
E la sparizione, le torture e l’assassinio di Giulio sono sicuramente temi su cui i nostri servizi, legati strutturalmente a quelli egiziani anche per la “comune lotta al terrorismo”, crediamo abbiano parecchio da dire. Sulle richieste degli egiziani di sapere chi era Giulio per esempio. E del resto la pratica delle torture, delle sparizioni forzate, dei sequestri di persona, degli omicidi politici, è una prassi su cui i nostri servizi e le nostre forze di polizia, come i servizi dei paesi legati alla NATO, Usa in primis, hanno poco da imparare. Torturavano già 30/40 anni fa, come in Italia verso i militanti delle organizzazioni rivoluzionarie, uccidevano già 50 anni fa, come nei mille casi di assassini mirati degli Usa, colpi di stato, interventi militari, sostegno alle dittature africane e latinoamericane (quanti “desaparecidos”?); e per arrivare ad oggi quante sono le persone sparite come Abu Omar in Italia, sequestrato dai servizi Usa, e poi torturato nelle prigioni segrete africane. Beh, per quel sequestro il nostro presidente Mattarella ha graziato il capo dei servizi Usa in Italia, condannato dai nostri tribunali.
Questi strumenti sono ritenuti validi ed utilizzabili ogni qual volta si ritiene necessario farlo, senza pudore o problemi etici, a tutti gli effetti parte integrante della lotta politica. In nome della supposta libertà si può tranquillamente torturare ed ammazzare, e l’Egitto, come noi del resto, lo fa con una certa meticolosità.
Non avremo informazioni e certezze sulla morte di Giulio, né tantomeno giustizia. Basti pensare che l’indagine è stata affidata a Khaled Shalaby, l’ufficiale che aveva subito derubricato l’omicidio Regeni come un incidente stradale e che è stato condannato in primo grado nel 2003 per tortura dal tribunale di Alessandria. La giustizia sarà sacrificata sull’altare della comune lotta al “terrorismo”, sempre più utile argomento di limitazione delle libertà, e sarà sacrificata sull’altare degli interessi economici e militari, di cui già si preoccupano, con allarmati editoriali, i nostri maggiori quotidiani, a partire dal Corriere.
No, non si può danneggiare l’interesse del nostro capitale; e poi perché, in fondo forse anche lui se l’è cercata, cosa voleva in Egitto, scriveva per il Manifesto, forse era anche un po’ comunista…..

Partecipiamo al presidio di protesta convocato sotto la Prefettura in Via Cavour venerdì 12 febbraio alle 17.30

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