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PRESIDIO SOTTO LA RAI IN SOLIDARIETA’ CON LA PALESTINA

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Oggi pomeriggio dalle ore 18.00 anche noi saremo in presidio sotto la sede della Rai per protestare contro la complicità della Radiotelevisione (Italiana) Israeliana spa nell’occupazione e nell’aggressione contro la Palestina e tutto il suo popolo.

Siamo abituati a vedere giornalisti che alzano la voce e gonfiano il petto a difesa della “libertà di stampa e d’espressione” non appena vengono messi in discussione o più semplicemente chiamati “pennivendoli”. Subito dopo siamo costretti a leggere i comunicati delle associazioni dei giornalisti che “in difesa della Costituzione” fanno scudo alla categoria o alla corporazione che dir si voglia.
Evidentemente però ormai la “libertà d’espressione” viene presa come la libertà di poter scrivere ciò che più fa comodo alla propria carriera.
Non potremmo spiegarci altrimenti l’atteggiamento della stragrande maggioranza dei giornalisti nei confronti di quanto sta avvenendo in Palestina in questi giorni: se non bastano i bombardamenti a tappeto sul popolo palestinese, le immagini di bambini puntati con il mitra, arrestati, oppure dilaniati dalle bombe, questa volta non sono riusciti ad indignarsi neanche quando l’aviazione israeliana ha colpito il palazzo di Al Jazeera (nella foto). Si vede che in questo caso la difesa della categoria conta meno della difesa degli interessi israeliani!
 
Assistiamo ad una sistematica rimozione e mistificazione della realtà. A rendere l’idea di tutto ciò è il modo in cui vengono montati i servizi ai tg: quando un soldato israeliano si sbuccia un ginocchio le telecamere inquadrano il suo sangue e le sue sofferenze, quando l’aviazione israeliana colpisce presunti obiettivi militari come i famosi tunnel, che passano magari sotto una casa o un ospedale, ci fanno vedere le inquadrature da videogioco riprese direttamente dall’aereo rimuovendo l’atrocità di cosa accade sotto i colpi di quelle bombe.
Nel migliore dei casi assistiamo all’equidistanza che altro non fa che legittimare l’operato di Israele la cui azione militare viene descritta come la risposta ai lanci di razzi di Hamas: come se ogni episodio potesse spiegarsi in se stesso, come se ogni volta si potesse dire che c’è “un prima” e “un dopo”, come se singoli fatti potessero esser decontestualizzati e legati tra loro in modo meccanico, quando invece sarebbe sufficiente prendersi la cartina dei territori occupati e cercare di capire com’era nel 1948 e com’è oggi. Basterebbe poco per rendersi conto di cosa subiscano i palestinesi quotidianamente da decenni. Ma se anche questo fosse troppe basterebbe dire che nei giorni scorsi uno sciopero generale ha visto un’adesione al 100% dei lavoratori palestinesi anche fuori da Gaza e poi provare a farsi qualche domanda…
 
Purtroppo però si scrive e si interviene con la testa, cuore e pancia e quindi coraggio, quello che loro perdono ogni volta che imboccano il corridoio che porta all’ufficio del caporedattore.
Se qualcuno di loro pensa di non far parte di questa risma alzi la mano e lo dica raccontando anche dove e come le notizie vengono confezionate: siamo pronti ad ascoltarvi!
Qualcuno scenderà dal proprio ufficio almeno per sentire le ragioni del presidio?
La cronaca è solo un diritto o anche un dovere?