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CONTRO LA REPRESSIONE
LA SOLIDARIETA’ E’ LOTTA!

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CONTRO la REPRESSIONE, la SOLIDARIETA’ è LOTTA!

Ci avviciniamo a Firenze ad un periodo pieno di processi. Dalla sentenza di appello il 24 ottobre per 11 compagni per i fatti di via della scala (per antifascismo), alla sentenza di primo grado del processone, 18 novembre, che vede imputati 86 persone. Si aprono, inoltre, e proseguono a dicembre, altri processi legati a iniziative antifasciste e contro il Job Act e la Buona Scuola.

Colpisce sicuramente il numero di processi, ed ancor di più il numero di compagni/e coinvolti, ma purtroppo non sorprende; è ben rappresentativo della situazione generale che in tutta Italia le lotte politiche e sociali si trovano ad affrontare da diversi anni, con intensità diverse ma sempre nel segno di un attacco deciso verso le forme di lotta conflittuali e che si pongono fuori dalle compatibilità, sempre più strette, imposte. Non sorprende perché è il risultato di decenni ormai di politiche repressive e di negazione di spazi politici, che sono andate di pari passo a tutta un’altra serie di ristrutturazioni dell’intero sistema, dalle riforme istituzionali che vedono un ulteriore importante passaggio nelle proposte di modifica costituzionale ed elettorale di Renzi, alle riforme del mondo del lavoro o a quelle sulla scuola e formazione in generale. Rimane stabile, anche questa ormai da decenni, una condizione di guerra permanente, principale direttrice su cui si sviluppano le politiche statuali, cornice all’interno della quale si riadegua la strategia repressiva di cui i nostri territori rappresentano il fronte interno, da anni investito da tutte quelle misure che stati e governi reputano necessarie per il controllo.

Repressione e controllo per le lotte politiche e sociali, per gli studenti nelle scuole, per i lavoratori sul posto di lavoro, così come semplicemente per ragazzi seduti in una piazza, per chi va allo stadio o per chi, dopo un fermo di polizia si trova morto “per epilessia”.

Perno costante che serve alla creazione di un contesto politico e culturale, utile alla ridefinizione della struttura e degli strumenti della repressione, è la politica dell’”emergenza”: emergenza immigrazione, terrorismo, emergenza droghe, bullismo, ma anche emergenza rifiuti o emergenza terremoto….La politica emergenziale, già ben oliata nel ciclo di lotte degli anni ‘70/80, è leva di consenso attraverso il quale si sono legittimati tutti i passaggi che hanno segnato questa continua ristrutturazione: il 41 bis, i reati associativi, le leggi “antimmigrazione”, i CIE e i provvedimenti extragiudiziali, le leggi “antistadio”, la militarizzazione dei territori colpiti da calamità naturali e di quelli ritenuti di “interesse strategico” (muos, tav, discariche…). E’ uno degli elementi, insieme alla guerra, che legittima appunto la concentrazione dei poteri, sia a livello centrale che periferico, giustificando la politica della sicurezza e dell’uomo solo al comando, che esso sia il capo del governo, un prefetto libero di dare Daspo o divieti di dimora, un preside o un manager di azienda (magari pubblica).
Lo stato ha cooptato anche nuovi soggetti prima estranei a compiti di controllo poliziesco: stiamo parlando dei controllori sugli autobus, degli stewards allo stadio, del personale medico addetto al TSO, di alcune tipologie di lavoratori coinvolti nella gestione dei CIE, dei capetti sul posto di lavoro e dei presidi e il corpo docente nelle scuole dopo l’approvazione della Buona Scuola.
Alla cultura della “legalità e sicurezza” si accompagna la cultura della “guerra”, che legittima, anche in questo caso in nome di diverse emergenze, gli interventi militari e che ha nelle scuole ed università un importante luogo di diffusione: da qui la polizia in cattedra nelle scuole così come il proliferare di progetti gestiti da università e militari.

Così come anche norme come il Jobs Act agiscono anche sul piano del controllo e della repressione, dotando il padronato di tutti gli strumenti necessari per agire contro ogni tentativo di organizzazione dei lavoratori che esca da un livello di compatibilità con le esigenze produttive.

Lottare contro la repressione significa comprendere i meccanismi su cui essa fa leva per metterci a tacere e isolarci, innescare divisioni e percorsi de-solidaristici, non prestare il fianco alle divisioni tra buoni e cattivi ed alle dissociazioni che sempre con più frequenza vediamo riaffiorare oggi. Per noi il compito è quello di riallacciare legami e rapporti e la solidarietà uno strumento e una pratica di lotta.

La lotta è l’unica via…Solidarietà!

Le compagne e i compagni del CPA Firenze Sud