Imperialismo europeo e Mediterraneo

I processi di penetrazione europea in Nord Africa

Parte di questo materiale nasce come intervento introduttivo dell’assemblea “Le Mani Sporche dell’Europa” sul ruolo imperialista della Ue nel mediterraneo tenutasi a Firenze nel mese di Maggio. L’obiettivo era, e rimane, sviluppare una maggiore conoscenza del ruolo che la stessa Ue riveste nelle politiche di rapina verso le risorse dell’area del nord africa e non solo, le ricadute di queste sul proletariato locale, con l’obiettivo di costruire un dibattito costante e paritetico con i compagn* provenienti da questi paesi, come ponte per una maggiore interazione con chi sta lottando nella prateria nord africana.
Il lavoro si è sviluppato attraverso tre chiavi di lettura. La prima è la caratterizzazione della Ue come polo imperialista; l’esistenza di una competizione tra poli imperialisti; la irriformabilità delle strutture del capitale e la disillusione (se qualcuno l’avesse mai avuta) della trasformazione della Ue in una Europa dei popoli o che dir si voglia, nell’attuale sviluppo del sistema capitalista, inteso come assunzione di caratteristiche proprie dell’attuale fase di crisi.
Il nostro lavoro è sicuramente parziale, può soffrire delle contraddizioni stesse di un corpo militante che ritiene necessario, in funzione di una maggiore comprensione dell’attuale fase, cercare di non limitarsi a voler guardare quanto succede ed è successo nei paesi arabi soffermandosi agli eventi, sebbene sicuramente importanti, ma sicuramente non sufficienti a una lettura della realtà attuale.

Negli anni passati è stata posta molta attenzione sulle politiche espansionistiche della UE ad est, su cui ha sicuramente influito la decennale guerra in Jugoslavia, gli interessi strategici sui corridoi che da oriente trasportano le risorse energetiche nel cuore dell’Europa, la competizione, con gli Stati Uniti in primis, per il loro controllo. Nello stesso tempo non sono sfuggite le contraddizioni presenti nell’allargamento della Ue verso “la periferia a est”, dove le mire del costituente blocco imperialista europeo sono andate a scontrarsi con una sempre maggiore integrazione degli stessi paesi interessati all’interno della Nato, strumento nelle mani dell’imperialismo yankee. Una fase in cui solo alcuni occhi attenti avevano già individuato la crescente tendenza ad una competizione globale tra blocchi di borghesia imperialista, sebbene caratterizzata da una supremazia Usa sul piano militare e di conseguenza politico ed economico.

Molta meno attenzione è stato posto nei confronti delle politiche imperialiste che la Ue ha portato avanti in quella che possiamo definire “la periferia sud”, quell’area dell’Africa e non solo che si affaccia sul mediterraneo, quel giardino di casa della Ue, come lo definiscono gli stessi analisti. Quella immediata periferia, come in passato, terreno di conquista, di spogliazione delle risorse, di reperimento di manodopera a basso prezzo, sia questa utilizzata sul luogo o attraverso i flussi migratori.

Non è un caso se oramai da anni nei paesi arabi le politiche della Ue vengono più o meno propriamente definite “nuova colonizzazione”; non solo il sostegno al governante di turno, ma una vera e propria occupazione che vorrebbe un totale asservimento dei paesi del nord africa all’imperialismo europeo, ai suoi capitali. Tale affermazione va presa per il significato che rappresenta nel processo di spogliazione delle risorse e della propria autonomia su tutti i piani, sia politici sia economici, nel vissuto quotidiano delle masse arabe ed africane, che non può che richiamare le drammatiche conseguenze della presenza colonialista del secolo scorso. Siamo convinti che non sia esistito un vero processo di decolonizzazione, che gli stessi stati post coloniali sono il prodotto dello stesso processo di dominio che senza interruzione di continuità si è perpetuato nel tempo, impregnando di contraddizioni gli stessi movimenti di liberazione e progressisti. Ci preme di più sottolineare, in questa fase, la percezione delle masse arabe delle politiche della Ue nei confronti dei paesi del sud del mediterraneo.

Il processo di penetrazione europeo in nord africa vive delle stesse contraddizioni che si sono riscontrate nel tempo all’interno del processo di integrazione europeo (competizione interna all’europa stessa) e del contesto internazionale nel quale questo si è sviluppato, e ci riferiamo alla presenza contemporanea di accordi di cooperazione ed integrazione con la UE e di accordi di dialogo con la NATO. Non è un caso che le uniche forme di tipo “militare” messe in campo dalla Ue nel mediterraneo non siano andate, fino ad ora, oltre la creazione di Eurofor, Euromarfor e SIAF, sempre sotto l’ombrello Nato. Al di là delle esercitazioni registriamo come unico esempio dell’utilizzo di queste forze nella missione Euroforce in Albania nel 1997, con il chiaro scopo non solo di intervenire militarmente, ma di procedere in una fase successiva ad una vera e propria occupazione strisciante attraverso la “ricostruzione” di esercito, polizia, i servizi segreti e attraverso il loro addestramento e ammodernamento.

Se vogliamo escludere i primi accordi degli anni 60 e alcune forme di interscambio che si sono succedute negli anni successivi, possiamo individuare nel Processo di Barcellona del ’95 la definizione organica della politica europea nei confronti dei paesi mediterranei.
L’obiettivo principale di tale progetto era quello di creare una zona di libero mercato entro il 2010 che comprendesse i 15 paesi che all’epoca partecipavano alla Ue e i 12 paesi che si affacciano sul mediterraneo (Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia, Israele, Cipro, Malta e Autorità Palestinese).

Se volessimo tirare un bilancio degli oltre 10 anni di processo di Barcellona potremmo affermare che niente è stato fatto o meglio certamente non è stato creata nessuna integrazione. Dall’altra il filtro della paura dei flussi di proletari ha inasprito in maniera esponenziale gli accordi e le politiche in tema di sicurezza dei confini. E’ convinzione di molti analisti che tale approccio basato sulla ricerca di governi stabili in funzione di un maggiore controllo e sicurezza, indipendentemente dalle loro politiche nei confronti delle masse popolari, abbia non poco condizionato l’approccio iniziale nei confronti delle cosiddette primavere arabe, almeno fino al punto in cui non sono stati trovati, temporanei, garanti della stabilità. Basti pensare che in un primo momento la Francia si era offerta di intervenire in Tunisia per garantire la sicurezza interna “facendo leva sulla sua storica esperienza in merito”.

Attraverso gli accordi di associazione il Processo di Barcellona ha però determinato nel tempo una persistente azione nei confronti dei paesi aderenti, per quanto riguarda in particolare la ristrutturazione del sistema economico-finanziario spesso caratterizzato da una forte presenza statale.
Gli accordi di associazione sottoscritti tra la fine degli anni 90 e i primissimi anni del 2000, i quali prevedevano finanziamenti attraverso i fondi MEDA appositamente creati come strumento finanziario del processo di integrazione, hanno portato alla denazionalizzazione dei settori strategici, liberalizzazione delle telecomunicazioni, privatizzazione delle banche in mano allo stato, trasporti, liberalizzazione dei prezzi dei prodotti agricoli, con piccole differenze a seconda della situazione economico finanziaria e politica dei singoli paesi. La liberalizzazione del settore agricolo e alimentare ha portato ad un notevole aumento dei prezzi dei beni di prima necessità oggetto negli anni di numerose proteste. Ad oggi qualcuno comincia a ricordarsi che le prime rivolte in Egitto si sono sviluppate proprio per l’aumento dei prezzi del pane.

Il processo di integrazione, in particolare a fronte della percezione, corretta, di un nuovo tentativo di dominio da parte delle vecchie forze coloniali, richiedeva uno sforzo perché avvenisse un cambio da parte della popolazione nei confronti dei paesi europei e delle loro politiche, che permettesse di occultare, almeno in parte, la vera essenza delle loro politiche di espansione.

Questo passaggio fu chiaramente individuato in quegli anni da un intervento da parte del CSCA (Coordinamento di Solidarietà con la Causa Araba):
“Il Foro Civile Euromediterraneo nasce nell’ottobre del 2001 a Brussels e si pone chiaramente il coinvolgimento della cosiddetta società civile all’interno del processo di espansione nel mediterraneo della borghesia europea. Partecipano al Forum 27 ONG e esperienze sindacali. Uno degli aspetti vincolanti per la partecipazione è quello di instaurare un dialogo propositivo e costruttivo con gli organismi, rappresentanti la borghesia europea e i suoi interessi.
Nella metà di Aprile di questo anno (2002) si è tenuta una ulteriore riunione a Valencia dal quale scaturisce un rafforzamento del ruolo del Foro Civile Euromediterraneo (FCE) come gestore delle contraddizioni
Emerge dalle raccomandazioni impartite dalla Commissione Europea in preparazione del vertice dei ministri degli esteri EM che si è tenuto a Valencia nei giorni 22, 23 e 24 Aprile 2002: “…. In collegamento con rappresentanti della società civile la Commissione studierà da vicino il modo più redditizio di sostenere in futuro la partecipazione della società civile al partenariato. Appoggiandosi sugli esempi disponibili di pratiche migliori, la Commissione intende anche formulare raccomandazioni su come coinvolgere la società civile nei primi stadi del dialogo politico, in modo da garantire che il suo contributo sia sufficientemente preso in considerazione nelle riunioni ministeriali del partenariato……..”.
Come spesso è successo ruolo fondamentale veniva attribuito alle ONG come strumento di compenetrazione a fianco di quello politico/economico.

Ma il processo di Barcellona rimane in uno stadio di standby, se vogliamo escludere gli accordi di cooperazione in materia di “lotta al terrorismo”. A questo stand by certamente ha influito la guerra scatenata a livello internazionale dagli Usa e non solo, non ultimo rimane per l’Europa insoluto il conflitto sionista palestinese.

Nel 2003 viene lanciata unilateralmente Politica Europea di Vicinato indirizzata verso una sempre maggiore “collaborazione” nella repressione dei fenomeni migratori e in tema riammissione. E’ proprio in questo anno che viene avviata la costruzione dei campi di detenzione in Libia per imprigionare gli immigrati espulsi dall’Europa.

E’ da rilevare una stretta connessione tra la lotta al cosiddetto terrorismo internazionale, i relativi accordi e cooperazione che si sono succedute negli anni e il peggioramento delle condizioni carcerarie in particolare per quanto riguarda la prigionia politica nei paesi del Nord Africa.

Parallelamente sono continuati gli incontri del gruppo 5+5 composto da italia, Spagna, Portogallo, Francia e Malta, e quelli maghrebini di Mauritania, Marocco, Tunisia, Algeria e Libia

Nel 2008 viene rilanciato da Sarkozy il progetto “Unione per il Mediterraneo”.
Un progetto che tende in una prima ipotesi ad escludere i paesi non mediterranei (anche se la Francia lo è solo in parte) per poi rientrare. Un progetto che non parla più di integrazione dei paesi dell’area, ma di cooperazione. Viene firmato da Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Giordania, Israele, Libia (osservatore), Libano, Marocco, Mauritania, Monaco, Palestina, Siria,Tunisia, Turchia, Unione Europea (27 Stati membri). La vera essenza o meglio la differenza che vuole determinarsi è un approccio che vede come maggiore protagonista il ruolo della Francia e degli stati del panorama euro-mediterraneo a scapito del precedente approccio tutto proiettato sulle istituzioni europee. La stessa organizzazione della presidenza a rotazione tra i paesi aderenti rafforza questa ipotesi. Tutto ciò avviene in realtà con il beneplacito della Germania che per mezzo del suo ministro degli esteri ha stabilito quali sono i suoi interessi da salvaguardare: il controllo dell’immigrazione e la creazione di un sistema solare di produzione di energia in nord africa per il proprio fabbisogno.
Dal sito Ufficiale della Unione per il Mediterraneo.:
“Riprendendo gli scopi istitutivi del Processo di Barcellona, l’obiettivo dichiarato è la promozione della cooperazione tra le due sponde del mare interno; le sue priorità sarebbero la risoluzione delle problematiche relative all’immigrazione dai paesi meridionali verso quelli settentrionali, la lotta al terrorismo, il conflitto israelo-palestinese, la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo.
In particolare è stata data priorità a sei iniziative concrete: il disinquinamento del Mediterraneo, la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare le fluidità del commercio fra le due sponde, il rafforzamento della protezione civile, la creazione di un piano solare comune, lo sviluppo di un’università euromediterranea (già inaugurata a Portorose, in Slovenia), e un’iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese”.

Al di là delle singole iniziative e dei progetti finanziati dai nuovi fondi stanziati non si registrano passaggi significativi.

Negli ultimi due anni attraverso la DCTF (Deep and Comprehensive Free Trade Area) la Ue ha rilanciato il progetto di un’area di libero scambio che comprende Egitto, Giordania, Tunisia e Marocco. Già da molte parti si riscontrano analogie con il Nafta voluto dagli Usa.
I paesi che aderiranno si troveranno in una totale subalternità nei confronti delle scelte della borghesia europea, i propri parlamenti nazionali privati della capacità di decisione autonoma sulle scelte economiche. Le legislazioni dovranno uniformarsi in materia economica alle norme dettate dalla Ue, a partire dalla proprietà intellettuale. Le aziende europee godranno delle stesse possibilità delle aziende locali in tutti i settori, partendo però da una posizione privilegiata in termini di capitali a disposizione.

Bisogna rilevare la proposta italiana al vertice di Marsiglia del mese di aprile di una Banca Euromediterranea sulla sorta del BERS (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo), venuta dal capo della camera dei deputati Anna Boldrini

La Commissione Europea ha istituito uno strumento finanziario apposito a sostegno della “società civile” nella promozione delle riforme e un maggiore sostegno alla Fondazione Anna Lindh, del cui ruolo ci ritroveremo sicuramente a parlare in futuro. La Commissione sta inoltre fornendo un sostegno finanziario, il ” Fondo europeo per la democrazia”, per sostenere emergenti movimenti politici/sociali e le organizzazioni di base, chiaramente funzionali alla creazioni di contesti favorevoli alla penetrazione imperialista.

Potrebbe far sorridere quanto si afferma nei propositi della relazione Ue/Nord Africa in merito a “progetti comuni su entrambe le rive mediterranee nel campo delle infrastrutture, educazione e formazione e imprenditorialità femminile”, mentre un presidente del Parlamento Europeo, il socialdemocratico Martin Schulz, affermava compiaciuto:
“La cooperazione euro-mediterranea sarà tra parlamenti e cittadini, o non sarà nulla. C’è bisogno di una rinnovata collaborazione tra i parlamenti forti e trasparenti, ispirata da un funzionamento senza impedimenti delle organizzazioni della società civile”.
Per organizzazioni della società civile sono da intendersi quelle mosse dai capitali europei che veicoleranno provvedimenti legislativi che porteranno benefici promuovendo i valori europei di civiltà per combattere “ogni forma di esclusione, sessismo, razzismo, xenofobia e radicalismo” e “per sradicare il terrorismo”
Belle parole che non significano altro che garantire lo sviluppo di un contesto favorevole agli interessi del capitale europeo, occultando con l’azione di quella indefinibile categoria rappresentata dalla “società civile”, la vera essenza del progetto imperialista europeo

“L´Ue si è impegnata a fornire sostegno a lungo termine a tutti i paesi arabi impegnati in transizioni democratiche e li assiste nei loro sforzi per superare eventuali ostacoli a breve termine che si trovano ad affrontare. La partnership con i governi che emergono dalla primavera araba si svilupperà sulla base delle loro condizioni specifiche. In tale contesto, l´Ue continuerà a impegnarsi in modo costruttivo con i nuovi attori politici che sono emersi venuti alla ribalta con la primavera araba. Al fine di contribuire a costruire e sostenere vivaci culture democratiche nei paesi arabi, l´Ue continuerà a sostenere anche la società civile e il lavoro di organizzazioni non-governative”
Ma ci immaginiamo bene cosa vorrà dire il sostegno che Bei e Bers o i vari finanziamenti Spring stanno portando verso i paesi della futura DCFTA.

Attualmente il Marocco è il primo paese che ha iniziato i negoziati di adesione e entro il 2013 dovrebbero essere lanciati i negoziati con la Tunisia, anche se i tempi a nostro avviso dovranno tenere conto della instabilità dei paesi che ne saranno coinvolti, quest’ultima compresa.

Solo per fare un breve sorvolo senza pilota su quanto sta avvenendo in funzione della ratifica degli accordi sulla base di quanto affermato dalle strutture UE.

Marocco come già detto è l’unico ad aver sottoscritto l’accordo.
La Bei può ora fornire ulteriori prestiti fino a € 1,7 miliardi (€ 1 miliardo dalla ´mandato Mediterraneo´ e fino a € 700 milioni per affrontare il cambiamento climatico) e il mandato Bers allargata – come inizialmente proposto dalla Ue – ha permesso la mobilitazione 1 miliardo di € in più per le attività in Egitto, Marocco, Tunisia e Giordania. La Commissione ha avviato un (Enpard) l´agricoltura e lo sviluppo rurale iniziativa per migliorare la produttività agricola. L´ue è anche il finanziamento dei programmi per aumentare le Pmi e ridurre la disoccupazione. Quanto riguarda la sicurezza dei trasporti, la riforma della regolamentazione, la costruzione di reti, e marittime ancora bisogno di maggiore attenzione e possono essere oggetto di un progetto dell´Unione per il Mediterraneo riunione ministeriale nel 2013. Quanto riguarda l´energia, l´Ue ha un maggiore sostegno per le riforme di mercato e l´integrazione regionale e appoggia l´attuazione del Piano solare per il Mediterraneo insieme per il Mediterraneo.
Per quanto riguarda la sicurezza, l´Ue sta attualmente preparando l´invio di una missione civile di gestione delle frontiere in ambito della Psdc (Politica di sicurezza e difesa comune) in Libia.

Come abbiamo visto tutti devono fare i conti ad oggi con un panorama profondamente modificato in particolare per quanto riguarda le conseguenze delle rivolte arabe e la presenza di nuovi attori nel panorama nord africano e dell’africa tutta. Non bisogna dimenticare che il nord africa rappresenta il naturale passaggio tra le risorse africane e i paesi dell’unione europea.
Allal Ouzzani Touhami, consigliere del Segretario Generale dell’Unione per il Mediterraneo, “se la stabilità dell’UE dipende da quella del Mediterraneo, quella di quest’ultimo dipende dall’Africa”.

Avvicinandosi alle conclusioni quello che ci preme sottolineare è la competizione che si sta giocando nell’area tra fazioni, blocchi, poli imperialisti i cui attori vanno dalla Cina, paesi come il Qatar, il Sudafrica, e non ultimi Ue e Stati Uniti.
Competizione che determina gli scenari di guerra a cui abbiamo assistito e ci troviamo davanti. L’intervento in Libia e il successivo in Mali non può che essere ricondotto alla necessità di controllo e salvaguardia dei propri interessi e futuri. Cambiano gli attori e i protagonisti principali ma la sostanza non cambia. Le alleanze si determinano in maniera asimmetrica, spesso non prive di superficiali contraddizioni. Ma se andiamo a vedere più approfonditamente non sono altro che il prodotto stesso della realtà che abbiamo davanti.
Perchè stupirsi davanti ad un attacco unilaterale francese. La Francia è in realtà l’unico paese Ue che dispone di un esercito tale da potersi permettere operazioni di un certo livello e sarebbe un errore non vedere questo come complementare alla potenza economica a disposizione della Germania. Certo non è privo di contraddizioni il rapporto tra le due componenti il nucleo forte e dominante nella UE, ed è scontato un continuo riequilibrio dei rapporti di forza tra loro.
E’ interesse comune alla borghesia europea dominante il controllo delle risorse del nord africa e africane, come lo è ed è stato il processo di espansione ad est di cui la Germania è la principale protagonista. Potremmo dire che la Ue non può fare a meno delle sue colonie così come non ne ha potuto fare a meno in passato. Come per le relazioni interne alla UE il blocco dominante impone agli altri le proprie scelte.

SE ESISTE UN BLOCCO DOMINANTE ESISTE ANCHE PER CONSEGUENZA UN DOMINATO, MA SAREBBE UN ERRORE RIDURRE TUTTO QUESTO ALLe politiche DI UNO STATO, MAGARI RIFUGIANDOSI IN UNA DIFESA NAZIONALE: E’ CHIARO CHE QUESTO E’ UN PROCESSO DELLO SVILUPPO DEL CAPITALE ALL’INTERNO DELLA SUA CRISI CHE DETERMINA UNA SEMPRE MAGGIORE COMPETIZIONE SULLE SPALLE DI CENTINAIA DI MILIONI DI PROLETARI. Per questo non possiamo non sentirci parte di una stessa periferia, pur all’interno del corpo di una bestia vorace, la Ue.

La realtà che abbiamo davanti ci mostra una UE che al suo interno sviluppa verso i paesi Sud – Ue relazioni con caratteristiche tipiche di quelle che intercorrono tra il blocco imperialista e la periferia stessa. Cosa sono le misure di austerity determinate dalla Germania ai paesi cosiddetti PIGS? Cosa sono le politiche di rapina verso i settori strategici greci? Cosa è lo sviluppo diseguale tra il nord e il sud dell’europa?

Non esiste una relazione possibile tra i paesi Ue e quelli mediterranei se non una relazione dettata da quelle che sono le caratteristiche proprie delle relazioni tra un blocco imperialista e la sua periferia, cosi come non può esistere un’europa dei popoli all’interno del progetto di Unione Europea. Nasce per una ragione, e vive e si sviluppa su questa.

Se questo è il contesto in cui come compagn*, militanti, rivoluzionari agiamo ogni giorno, nuove possibilità si aprono per il futuro. E prima di tutto si apre la possibilità di una relazione diversa con quello spaccato di proletariato che sulla base delle contraddizioni che vanno a svilupparsi nei paesi di origine, disoccupazione, spogliazione delle risorse, impoverimento generale, costretto a muoversi verso e all’interno della fortezza europa. Non più immigrati, non più oggetto con cui instaurare un rapporto di tipo assistenziale, sicuramente importante (i bisogni sono bisogni), ma parte di quel proletariato che dall’interno e dall’esterno della Ue lotta contro le sue politiche e la sua stessa esistenza come polo imperialista. Un processo che sta ad oggi gettando le sue basi, ma i cui effetti positivi sono ben visibili fin da ora.
Se lottiamo contro le conseguenze delle politiche lacrime e sangue nel ventre della bestia, la Ue, non possiamo non porre le basi per una lotta comune, su basi paritetiche, con chi lotta contro le conseguenze delle ingerenze nei propri paesi, che continua a denunciare il carattere di rapina delle politiche dell’unione europea, partendo proprio da chi è presente sui nostri territori, facendo una scelta di campo chiaro, senza ambiguità per una trasformazione radicale della realtà attuale.

l’articolo è stato pubblicato sulla Rivista Senza Censura